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martedì 9 novembre 2010

Trasformare l’esistente.

Senza diritti e solidarietà l’eguaglianza muore, senza eguaguaglianza la democrazia si svuota
Mentre la crisi economica investe con prepotenza la nostra quotidianità modificando addirtittura i nostri destini chi dovrebbe “governare” questa crisi sta giocando al gioco del “cerino” interessato solo a salvarsi la pelle. Di fronte a ciò che, su piani differenti, sta accadendo nel nostro Paese sembra che gli unici sentimenti possibili siano il disorientamento o l’incredulità. E nel frattempo c’è chi cerca di trarre vantaggio dalla crisi medesima per riportare indietro le lancette dell’orologio cancellando così ciò che resta dei diritti collettivi ottenuti dai grandi movimenti democratici del secolo scorso.
Mi son fatta l’idea che tutto ciò mette a repentaglio la nostra imperfetta ma preziosa democrazia, ottenuta grazie alle lotte di donne e uomini generose-i.
In primo luogo perché , come sostiene Gustavo Zagrebelsky nel suo bel saggio “Imparare la democrazia”, la “democrazia è una realtà intrinsecamente imperfetta fatta di equilibri precari che hanno bisogno di essere alimentati dai valori personali” cioè un sistema “ che vive dei principi e dei valori delle persone che la abitano e che soltanto attraverso questo può garantire la libertà di espressione e l’esercizio stesso della democrazia”.
Senza diritti e solidarietà l’eguaglianza muore, senza eguaguaglianza la democrazia si svuota. Sono però convinta che, se l’idea che mi son fatta non è peregrina, sia necessario non farsi prendere né dal disorientamento, né dalla rassegnazione né dallo sconforto.
Mi vengono in aiuto uno slogans e le parole di alcune pensatrici. Il movimento delle donne negli anni ’70 affermò che “il personale è politico” ( l’esatto contrario di ciò che oggi ha il sopravvento è cioè che “la politica è il privato”!) che divenne una rivoluzionaria dichiarazioni di intenti e provò a trasformare il modo di intendere l’impegno e partecipazione sociale rimettendo al centro la persona nella sua dimensione sessuata , storicizzata e collettiva. Le parole di Hanna Arendt, su questo tema, sono attualissime in particolare quando la grande pensatrice affida valore alla comunità, “alla condivisione, alla partecipazione di ogni singola-o individua-o nello spazio pubblico, come luogo comunitario messo in comune”.
La prospettiva è quella di capovolgere la moderna nozione di politica da mera “amministrazione” della società in capacità di agire per con-dividere promuovendo consapevolezza e partecipazione.
Dotarsi di questo spirito partecipativo è per la Arendt capacità di iniziativa , è mettere in pratica un’idea di politica che non è tecnica di governo ma “arte e piacere di stare insieme, di scambiare parole” di trasformare l’esistente.
Su un altro piano Hetty Hillesum (una scrittrice, olandese ed ebrea, che ho “scoperto” recentemente) dimostra come anche in una situazione estrema (addirittura, come fu per lei, il campo di concetramento) si possa, si debba, mantenere salda una libertà morale, vitale, interiore che non ceda davanti alle restrizioni, all’umiliazione, alla decadenza per vivere la vita con “pienezza di senso”.
La Hillesum rappresenta, per me, la capacità di non farsi travolgere dagli avvenimenti, di mantenere spirito critico e consapevolezza, di non cedere al degrado.
Per tutto ciò io credo che mai come adesso ci sia bisogno che tutte le donne e gli uomini che ancora credono nella politica come strumento collettivo di trasformazione e di partecipazione fondato su principi e valori condivisi, sentano la responsabilità di esserci e di agire collettivamente. Un’azione che secondo me non potrà che fondarsi sulla coscienza (di sé), sulla sapienza (della realtà) e sulla speranza (del futuro).

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